LETTERA A PAPÀ
Pubblichiamo un estratto de Lettera a papà di Francesco Muzzopappa, autore di Una posizione scomoda e Affari di famiglia, pubblicato nella collana Corsivi del Corriere della Sera, una confessione ruvida ed emozionante, una originale riflessione su una verità speciale, quella del rapporto tra padre e figlio, che mostra come anche attraverso la perdita, anche attraverso la sofferenza, ciascuno diventa ciò che è.
– Ieri sono venuti a trovarmi i miei compagni di classe, in blocco, con preside e professori inclusi. Mi chiedevano tutti del tuo aneurisma, come se avessi davvero voglia di parlarne. C’era pure Davide, il mio compagno di banco. Sicuramente te lo ricordi. È quel tizio che ci siamo portati in campeggio due estati fa: capelli rossi pettinati a schiaffo di lato, occhi melodrammatici e una specie di canotto al posto delle labbra. In coda a tutti gli altri, si è avvicinato con la testa bassa e mi ha stretto la mano dicendo condoglianze. Io l’ho ringraziato e gli ho chiesto se aveva voglia di tornare più tardi (senza tutto lo squadrone della morte di facce tristi) per fare una partita ad Halo e lui mi ha chiesto se ne ero sicuro e io gli ho detto sì.
E infatti è tornato.
All’inizio è stato facile, perché ho messo su il gioco e abbiamo cominciato a fare le solite cose, tipo smadonnare, lanciare le Vans contro la tele e bere l’aranciata, che Lamberto come sai è astemio e guai a tenere birra in casa. Abbiamo aiutato Sarah Palmer a superare alcune prove del programma di addestramento virtuale della UNSC Infinity e ci stavamo divertendo un casino, papà, e per un momento ti ho anche messo da parte.
Solo che poi Davide ha cominciato a diventare serio, a rimettersi le Vans, a sedersi dritto e composto come avesse ricevuto l’illuminazione divina. Ha iniziato a chiedermi come stavo “davvero” e io gli ho detto che, insomma, come vuoi che stia? Allora ha stoppato il gioco e mi ha guardato con la faccia da ‘Mi dispiace’, e io gli ho detto di piantarla, che tanto non serve a nulla. Ma lui niente. Vuoi che parliamo?, mi ha fatto, tutto solenne, come fossimo le amiche del cuore. Al che gli ho detto che non c’era niente di cui parlare. E invece ha insistito fissandomi con quegli occhioni da Pollyanna che si porta appresso. È sempre il solito. È un bambino travestito da quindicenne.
Te lo ricordi, no? Te lo ricordi quanto è idiota?
Te lo ricordi, in campeggio, due estati fa, che gli hai fatto la pasta col tonno, che ci hai messo tanto peperoncino (proprio come piace a noi) e lui annaspava, agitando le mani davanti alla bocca per sventolarsi?
Te lo ricordi che tutte le sere doveva per forza chiamare casa per dire che stava bene, come fosse in un lager nazista pieno di generali delle SS?
E quella volta che una medusa l’ha beccato in pieno sulla gamba e tu gli hai detto di pisciarsi addosso per calmare il bruciore e lui si vergognava e stava male e allora gli ho pisciato io, sulla gamba, mentre tu lo tenevi.
Te le ricordi le risate, papà? Te le ricordi?
Be’, sappi che ha pianto per te, quel cretino. Mi ha pianto davanti agli occhi, imbecille di uno scemo, che stava tirando dentro anche me, demente di un idiota.
E per uno che è cresciuto strappando le ali alle farfalle e tagliando le code delle lucertole, diventare l’incarnazione della persona sentimentale e vedermelo davanti in lacrime è stato pesante, papà.
Lì ho capito che la cosa era vera, papà, che eri morto sul serio.
Francesco Muzzopappa
Lettera a papà
1,99 €
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